E dunque, pensava Ferdamyr osservando il cono lunare frammentarsi in più livelli paralleli e ricurvi sull’acqua torbida e gonfia del fiume, dunque qui si ragiona di felicità. E la felicità sembra essere la risultante dell’infelicità comune di questa terra inesplosa e abitata di rovine. E la soddisfazione personale, anche quella, la risultante della media delle insoddisfazioni comuni. Poteva esserci davvero felicità o soddisfazione nella vita di Ferdamyr?

Tanto più che Frantyseck e Frederich non erano che lo specchio dei suoi fallimenti, uno sguardo macabro sui punti oscuri di una vita comunque issata come una bandiera nera su un palo di grovigli di rovi e rampicanti. A chi giovava dunque, pensava Ferdamyr dall’osservatorio privilegiato che era la balaustra del suo appartamento, a chi giovava obbligarsi a guardare indietro verso una vita che più che a una linea retta sembrava ispirarsi alle onde di un sismografo, tanto più quando l’attenzione cadeva sui picchi più bassi e misteriosi della sua esistenza?

Del resto Ferdamyr apprezzava una sola cosa di sé: l’aver fatto sempre i conti con i suoi fallimenti in proprio, senza che nessuno dovesse puntare il dito oppure obbligarlo a chinare il capo. Erano tutte davanti ai suoi occhi, queste cadute, come dipinti di Gaugain, sinistri e inspiegabili nonostante il sole e l’esotismo, ed erano fallimenti con cui chiunque avrebbe felicemente fatto a meno di confrontarsi. Il suo impiego al Ministero della Difesa era stato ottenuto per tramite d’uno zio in odor di nomina ed era uno di quei lavori che servono a tirare avanti piuttosto che a ricercare la felicità. La sua carriera politica era stata abbandonata senza un motivo particolare, per lo meno nessuno di quei motivi apparenti che recano sollievo – “non si poteva più andare avanti”, “non vi ero tagliato”, “in fondo volevo altro”. Si trattava semplicemente della noia di trovarsi in disaccordo coi suoi stessi principi, quando Ferdamyr veniva a contatto con gli esponenti del suo partito di destra. Lui, discendente di un repubblichino intenditore d’armi e donne straniere, finiva col trovarsi sempre più al centro rispetto ai suoi compagni di partito, e mai avrebbe potuto sopportare l’idea di trovarsi un giorno a sinistra solo per contraddire qualche vecchia conoscenza. Il bisnonno, morto per Salò, ne sarebbe morto una seconda volta.

E così era anche per il più sonoro dei suoi fallimenti, che aveva avuto eco persino negli uffici del Ministero. Ferdamyr e sua moglie Fedora erano stati un esperimento mal riuscito, un’unione inspiegabile che aveva vacillato dal primo giorno fino a crollare come un regno rovesciato col sangue e le baionette. E proprio dalle stanze del Ministero tutto era cominciato, col tradimento di Fedora con l’ufficiale che lavorava al fanco di Ferdamyr. E Ferdamyr, che non era bravo nel chiedere e rendere conto, aveva scelto il silenzio. Il silenzio impone responsabilità, questo era sempre stato il suo pensiero.

Ma il silenzio aveva solo avuto l’effetto di mutare il comportamento di Fedora. Che non parlò, né spiegò, né fece riferimento ad alcuna infedeltà, rimanendo muta per un lungo periodo; poi un giorno la donna comprese che rischiava di perder tutto, dall’amore del marito fino all’appartamento nel centro della città, e passò ai fatti. Si mostrò nuda sul letto dopo mesi che il suo corpo non reclamava quello di Ferdamyr e si lasciò prendere. Più e più volte, affinché ogni macchia venisse lavata dall’amore plastico di due corpi alla ricerca di un terreno comune e razionale.

Ferdamyr aveva pensato che fosse una cosa buona. E credeva ancora nell’esperimento.

“Mi hai riconquistato mostrandoti per quello che sei, una splendida donna”, aveva detto dopo gli amplessi, certo del profilo alto e profondo del suo discorso amoroso, “ma ora vorrei che ti mostrassi per ciò che io vedevo un tempo: non una donna, ma la donna, la donna ch’io amavo”.

Fedora si trovò a rivedere tutta la sua scala di valori, fino a stimare ben poca cosa le certezze che il marito le assicurava. E andò via, rivestendosi in fretta.

E dunque, pensava Ferdamyr quella sera cercando inutilmente una crepa nella piana di marmo ch’era il fiume notturno, dunque la vita d’un uomo è un farsi tirare indietro, un lasciarsi obbligare a credere che la vita stessa sia un’esperienza sempre esposta alla frana e all’incertezza sismica? Val la pena d’inseguire solo la felicità relativa accompagnandosi a gente infelice comunque pronta a condividere almeno un fattore dell’operazione in questione, e cioè la propria, stessa, virale infelicità?

Interrogò a lungo il fiume, ma il fiume non rispose.