post chiancianismi di ritorno isolano-sanremesi

“«Sono una gabbia come tante altre, né particolarmente bella né particolarmente brutta. Uno sciocco canarino mi abita e lui né mi ama né mi odia, gli sono indifferente. Gli altri invece cercavano di fuggire a ogni occasione. Appesa sul soffitto di un modesto appartamento, anch’io ho un sogno: diventare infinita e racchiudere fra le mie stanghette tutto l’universo, Dio compreso. A volte ci penso e così passo il tempo procurandomi delle vertigini. Il mio chiodo è sproporzionato al peso che deve sopportare. Non mi conosco troppo bene, una gabbia non può mai fare il periplo di se stessa, sapere di quante assicelle e quanti metri di filo di ferro è fatta. Chi mi abita è sempre qualcuno meno importante di me, che a torto me ne vuole, perché io non imprigiono di proposito nessuno. Accado di essere. Io sono me stessa anche vuota, non ho bisogno di una presenza per sentirmi più o meno gabbia. L’aria entra e esce da me e il vento mi fa dondolare. Cosa può importarmi se è un merlo, un canarino o un pappagallino a abitarmi? Muoiono tutti, prima o poi, solo io sono immortale. Io, qui o là, ci sarò sempre. Credo talmente nella mia funzione, nella mia necessità, che se potessi esprimere un desiderio sarebbe questo: essere una gabbia in gabbia. Pour L’Eternité.»”

[Tratto da Aldo Busi, Seminario sulla gioventù]

 

Aiutino: è sempre la stessa differenza che intercorre tra un negro e una perosna di colore